Ricerca della School of Management del Polimi afferma che aumentano i professionisti che sono maggiormente propensi alla digitalizzazione
Durante la presentazione di un’analisi al convegno “Professionista, oggi apriresti uno studio?”, l’Osservatorio Professionisti e Innovazione digitale della School of Management del Politecnico di Milano prova come gli Studi di professionisti, da sempre i più restii alla digitalizzazione, durante l’ultimo anno cambiano rotta.
Avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro decidono di dedicare più tempo e denaro all’ ICT (oltre 1,1 miliardi di euro complessivamente) in quanto la redditività e il fatturato crescono in modo direttamente proporzionale all’impiego delle nuove tecnologie, investendo soprattutto in strumenti per la firma digitale, le banche dati e la gestione di flussi tematici, ma guardando anche a software per il Document Management, la Conservazione a Norma e la condivisione documentale e di attività con i clienti.
Come spiega anche il direttore dell’Osservatorio Claudio Rorato, i professionisti sono più consapevoli e finalmente vedono nella digitalizzazione un’ alleato, tanto che il cambiamento coinvolge circa il 30% degli studi professionali. Su un panel di 134 Studi che hanno risposto alla survey del Polimi sia tre anni fa che nel 2015, solo l’1% ha mantenuto la promessa di non investire nell’ICT, mentre gli altri hanno cambiato idea.
È il 54% degli Studi professionali a dichiarare un aumento nella redditività, contro il 43% dello scorso anno. L’Osservatorio, inoltre, fornisce un identikit dello Studio tipo, che è soprattutto di micro o piccola dimensione, con un organico che consta in media di 2 professionisti e 2 dipendenti; l’età media oscilla tra i 45 e i 57 anni e la presenza femminile è pari a quella maschile tra gli avvocati e i consulenti del lavoro, mentre rimane prettamente maschile tra i commercialisti.
A competere con gli Studi sono le associazioni di categoria e i CAF, per questo il 30% dei professionisti collabora con altri colleghi per reggere la concorrenza e far crescere il proprio business, seppur la collaborazione avvenga in modo non formalizzato.
Ad aumentare, oltretutto, è l’importanza che viene data all’ attività di consulenza, la cui stima sale al 27% (contro il 18% del 2014). Il 51% dei professionisti, infatti, vuole creare un portale di consulenza online per avere una maggiore visibilità, intercettare nuovi clienti, fidelizzare quelli già acquisiti e incrementare, così, il fatturato.
Al contrario, rimane invariato il peso dato all’ internazionalizzazione: l’assistenza ai clienti per le attività nei mercati esteri rimane il tallone d’Achille degli Studi, giustificabile con il mancato interesse da parte dei clienti stessi o una scarsa preparazione dei professionisti. Solo il 5% di essi lo fa, tramite corrispondenti esteri o in modo parziale svolgendo solo determinate attività. Cresce anche la domanda di formazione per migliorare la comunicazione e le relazioni con l’esterno ed è per questo che le soft skills sulle quali si focalizza l’interesse sono team building o public speaking e l’utilizzo dei social media.
Abbiamo visto che gli Studi professionali che si convertono al digitale sono molti, ma tra questi alcuni si sono distinti per la loro capacità di innovazione sia a livello di business che a livello organizzativo e per questo sono stati premiati con un Premio Professionista Digitale. Questa la prova che anche chi è più legato alla tradizione può convertirsi all’innovazione senza perdere di vista i propri obiettivi e principi.
Puoi leggere il comunicato stampa del convegno QUI
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